Skip to content

«Io non so approfittare dell’occasione:

vado a caso, vuoto e calmo, sotto un cielo inutilizzato».

Jean-Paul Sartre, “La nausea”

 

– Non so parlare di vino, figuriamoci di cibo-

Premessa doverosa: è difficilissimo parlare di questi argomenti e avere pensieri complessi riguardo ad un mondo che appartiene a tutti come quello del vino ma ancor più quello del cibo. È difficile trasmettere emozioni in un mondo che tende all’iperbole sia quando parla di chef (“genio” è la parola più ricorrente) sia per quanto riguarda un vino (“tradizione” è la parola più ricorrente) sia, e soprattutto, per quanto riguarda il cibo (“eccellenza” è la parola più ricorrente).

Tutti hanno un’opinione ed è bello che sia così. Il fatto che questa opinione debba essere esternata a tutti i costi, ecco qui magari mi trovate meno d’accordo. Avete presente no? Da una parte quel democristiano di Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» e dall’altra parte Gramsci (tutto si può dire ma non certo democristiano): “quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l’accorgersi che ha un po’, o molto, ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire”.

Ecco quindi, direte voi, perché continuare a scrivere ed esternare dei miei pensieri? Non lo so nemmeno io. Guardare gli altri che si rendono ridicoli non rafforza in noi, come dovrebbe, il proposito di non renderci ridicoli. Al contrario il ridicolo degli altri ci disinibisce a tal punto che alziamo la posta in gioco del ridicolo. È questo. Vorrei..Non Vorrei..ma se vuoi…Una sorta di bipolarismo dissociativo che sfocia nel delirio: “sono andato a cena da solo – pensando fosse cosa da matti e un po’ sfigati – ma devo dire seratina davvero niente male, unico neo, sono arrivato in ritardo e io odio aspettare.”

Io e Nicola (che i più dotti di voi, arrivati a questo punto, sospetteranno sia solo un mio immaginario alter-ego), ci sediamo a tavola in quel di Parma. A questa tavola imbandita, metaforicamente parlando, ci sono le già citate eccellenze italiane.

Siamo a Cibus,

alla prima edizione di Origo Global Forum,

il primo forum globale dedicato al cibo a indicazione geografica. Un settore importante e in forte crescita dal punto di vista economico. Obiettivi: presidio del territorio e delle comunità locali, oltre che strumento di promozione di un’agricoltura sostenibile.

Insomma una bella occasione dove finalmente l’Italia può distinguersi ed esaltarsi. Leggendo qualche dato scopro che il settore alimentare, tra produttori e consorzi dei principali prodotti Dop e Igp, a fine 2016 ha toccato il record di 2.959 prodotti. L’Emilia-Romagna – rinominata Food Valley –  fa da traino a questa industria con 44 indicazioni d’origine riconosciute e tutelate. È leader in Europa così come l’Italia lo è a livello mondiale grazie a 814 prodotti food and wine; seguono: Francia (670 indicazioni geografiche), Spagna (323), Grecia (251), Portogallo (177), Germania (128). Po poropo po po pooooooo.

Il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano giocano naturalmente in casa, come, tra gli altri, la Coppa Piacentina, l’Aceto balsamico di Modena, la Mortadella Bologna e la Piadina romagnola. Ma passeggiando per la fiera scopriamo (sempre io e me stesso) che ci sono anche lo spagnolo Jamon De Huelva, il francese Roquefort e il tedesco Allgauer Emmentaler, l’asparago austriaco Marchfeldspargel, l’Oriel Sea Salt dell’Irlanda, fino al Cafè de Valdesia della Repubblica Dominicana.

Tutto molto bello. Le eccellenze. LE ECCELLENZE….nessuna traccia di sushi in giro. Cosa centra? Non lo so ma voglio litigare aprendo questa parentesi dato che ho la possibilità di parlare di cibo.

Odio il Sushi. Anzi odio l’idea di sushi, e come viene rappresentato e consumato.

Il Sushi è, secondo la mia modesta opinione per nulla definitiva e passibile di critica, il cibo più del cazzo dell’universo. Ogni sera, facendomi i cazzi degli altri su Facebook, mi imbatto in hashtag che inneggiano a cene a base di sushi con ste bacchettine e sorrisoni (sempre in hashtag) e frasi da fare accapponare la pelle tipo:” non riesco a farne a meno” oppure “la mia droga”o ancora “sushi time”.

Una volta i ristoratori che osavano proporre pesce crudo venivano violentati analmente dai NAS e dalla folla inferocita e ora paghiamo somme stratosferiche per ingurgitare gelatina gusto pescheria e sentirci cosmopoliti appartenenti alla middle class se non fosse che viviamo in Romagna e che nelle cose importanti abbiamo la mente più chiusa di un integralista religioso qualunque.

Va be. Mangiate sushi e sognate New York. Chevvedevodi??

Dove eravamo rimasti?

Ah sì… LE ECCELLENZE. Ma non si tratta solo di questo.

Ad Origo si toccano i più svariati temi: dalla sostenibilità sociale, alla nuova Politica agricola comunitaria post 2020 senza parlare di sushi. Ora la smetto.

I Promoter di questa bella iniziativa sono la Regione Emilia-Romagna, il Ministero delle Politiche agricole, in collaborazione con l’Unione parmense degli industriali e Fiere di Parma, con il patrocinio della Commissione europea, del Parlamento europeo e del Comune di Parma.

“Origine, territorio, valore, diversità, natura, tutela e identità sono i tratti distintivi tipici delle produzioni oggetto del Forum, che scegli Parma: capitale della food valley italiana, città creativa della gastronomia Unesco, riferimento mondiale per il cibo.”

“Dobbiamo proteggerci dai protezionismi e dal falso Made in Italy. La sfida che abbiamo di fronte è proprio questa: sostenere e rafforzare il posizionamento sui mercati di queste eccellenze che rappresentano un modello virtuoso di sviluppo, in un’epoca in cui anche l’agricoltura troppo spesso è sottoposta alla logica delle commodity” Simona Caselli, assessore regionale all’Agricoltura.

Si, si, Si, tutto molto bello, quindi noi cosa ci facevamo lì?

Io nulla ma era con me Nicola Pederzoli (persona reale in carne ed ossa), giovane imprenditore agricolo, fresco di nomina come vicepresidente del Consorzio Olio Nostrana Brisighella e mio amico di vecchia data, che gentilmente mi ha chiesto di accompagnarlo.

Ecco, lui era a Parma in veste di rappresentante di una di quelle ECCELLENZE.

 

-L’OLIO DI BRISIGHELLA-

18360776_814419628716087_1115308734_n

Innegabile: l’Olio a Brisighella è un’eccellenza. Dal 1996 riconosciuta DOP (Denominazione di Origine Protetta) dall’Unione Europea con la denominazione “BRISIGHELLA DOP”.

“A BRISIGHELLA LI ULIVI DANNO FRUTTI SEMPRE COSI’ PERFETTI CHE NE STILLA DA ESSI UN OLIO FINISSIMO….”. – Antonio Metelli –

Un po’ di storia (pigrissimo copia e incolla dal sito):

“Molto prima, nel 1594, Andrea Giovanni Callegari, Vescovo di Bertinoro, riferendosi alla Valle del Lamone, in una lettera inviata a Hieronimo Mercuriali, medico del Granduca di Toscana, affermava che: “L’aria, l’acqua, li vini e l’olio e i frutti sono così buoni e saporiti che non hanno invidia a qualsiasi altra regione”.

Se si retrocede ancora alla ricerca di riferimenti, a testimonianza di quanto sia radicata la coltivazione dell’ulivo nella valle del Lamone, arriviamo addirittura al II secolo d.C. Risale, infatti, a questo periodo il rudimentale frantoio familiare per olive rinvenuto negli scavi di Pieve del Thò.

Dalla storia antica a quella recente. La millenaria coltivazione dell’olivo a Brisighella, sui bei poggi esposti e protetti dai venti freddi fanno di questa zona, posta ai limiti dell’aerare della coltivazione dell’olivo sul versante Adriatico, un unicum estremamente interessante. La varietà predominante coltivata è la “Nostrana di Brisighella”.

La DOP Brisighella Monocultivar Nostrana di Brisighella segue rigidi parametri di coltivazione e di molitura. La CAB è il maggiore produttore, con il numero più alto di soci conferitori. Ha l’obiettivo di raggiungere il massimo livello qualitativo ed organolettico dell’olio. Già nel 1975 promosse l’iniziativa per offrire una precisa identificazione di tipicità ed origine agli oli extravergini di oliva. Attribuì una denominazione specifica ai propri prodotti; numerando le bottiglie e garantendone analiticamente la qualità dovuta al particolare patrimonio di aromi e fragranze raggiunti dal tipo di olive di ridotta resa in olio ed, alla sapiente lavorazione con molitura a freddo effettuata nel frantoio aziendale.

Tantissimi i riconoscimenti a livello nazionale e non solo:

Maestro d’Olio 2014 – Brisighella Dop

Guida agli Extravergini Olio Slow 2014 – Dop Brisighella Brisighello

Guida agli Extravergini Chiocciola 2014

Oli d’Italia – Tre foglie 2014 Dop Brisighella Monocultivar Nostrana di Brisighella

Sirena d’Oro di Sorrento – Brisighella Dop

Corporazione dei mastri Oleari

Ercole Olivario: concorso per la valorizzazione delle eccellenze olearie territoriali italiane 2012

Bioil Emilia Romagna – Andria- 2011 – Brisighella Dop

19° Concorso Nazionale Oli extravergini monovarieltali 2010

Guida agli Extravergini 2010 – Nobildrupa

L’Oro d’Italia Menzione di merito categoria DOP – IGP Premio Nazionale 2010 – Brisighella Dop

Ercole Olivario: concorso per la valorizzazione delle eccellenze olearie territoriali italiane 2009

Los Angeles Country Fair Olive Oils of the World Extra Virgin Olive Competition 2006

Guida Oli d’ Italia 2016 – Gambero Rosso – “LE TRE FOGLIE” – DOP di Brisighella Monocultivar  Nostrana di Brisighella

18361404_814419612049422_10786896_n

Quindi nessun problema. Tutti vissero felici e contenti.

Invece no.

Girovagando in auto per le nostre colline vedo campi lasciate andare. Gli uliveti venduti. E se si compra un uliveto è per produrre olio a proprio uso e consumo. Senza conferirlo. E questo in una parabola discendente.

Le problematiche sono tante. In collina, con l’agricoltura tradizionale, è sempre più difficile fare reddito per ragioni dovute alle pendenze. Scarsa produttività e costi di produzione non competitivi. Mi spiegano che: “tutto si sta spostando verso la pianura e, per una vallata come la nostra, sarebbe molto utile cominciare a riscoprire il patrimonio di oliveti centenari di cui disponiamo, anche vedendoli, ma non come uno scomodo fardello ma come una concreta opportunità di reddito.”

Tutto questo porta a quantità esigue di Olio Di Brisighella DOP.

Abbiamo un prodotto che si vende da solo. Non dobbiamo convincere nessuno della qualità/bontà/versatilità del nostro olio. Ma non ne abbiamo abbastanza per imbottigliarlo e per renderlo appetibile al mercato globalizzato. Ci stiamo allontanando dai profitti che potrebbero derivare da una produzione maggiore per la mancanza di conferitori. I mercati mondiali ne richiedono sempre di più – dal mercato asiatico a quello americano – che finiscono per rivolgersi a Spagna e Grecia per cercare l’eccellenza.

Chiacchierando con altre realtà, consorzi simili al nostro, ne è venuta fuori una fotografia abbastanza comune e un po’ sbiadita. Una autoreferenzialità che non danza più con i ritmi moderni.

Non possiamo più attendere. Non possiamo più atteggiarci a quelli che aspettano, a quelli che pensano “se non vieni a Brisighella peggio per te, se non compri l’olio di Brisighella peggio per te, non sai cosa ti perdi”. Non possiamo fare un ragionamento tanto provinciale soprattutto in un’economia che non limita la concorrenza al paesino come i primi anni del secolo scorso, o alla regione fino agli anni 40’, o all’Italia fino agli anni 70’, (date a caso), ora la concorrenza è su scala mondiale, per la facilità dei commerci e velocità del viaggiare. Non si può pensare di avere tra le mani un prodotto indispensabile per il mondo. Non è così. Il mondo andrà avanti comunque. Dobbiamo sapere di avere in mano una vera e propria chicca (ECCELLENZA) da curare e fare conoscere, senza atteggiamenti d’attesa passivi.

Un esempio stupido (come lo è questo articolo senza un obiettivo e senza una soluzione): non vedo, nella quasi totalità dei casi, un ristorante – e non dico di Brisighella ma in Romagna – in cui sulla tavola ci sia il nostro olio.

Perché?

Se ci siamo imposti in Italia, nei tempi d’oro, perché ora non riusciamo a imporci nemmeno in regione? Perché non puntare su quello all’inizio. Perché non fare joint venture con i ristoranti, e fornire l’olio DOP di Brisighella, magari a prezzi più vantaggiosi; questo non per sottovalutarlo o sottostimarlo ma al contrario dargli quel prestigio che merita, collocarlo nel posto in cui ha pieno diritto di stare, essere presente sulle tavole dei ristoranti stellati d’Italia. Soprattutto in un panorama gastronomico che limita sempre di più l’uso di grassi in cottura, prediligendo l’uso di olio a crudo, cioè il “campo di battaglia” in cui il nostro Olio esalta e si esalta.

C’è poi da dire un’altra cosa. L’equazione grandi quantità=qualità bassa è un mito da sfatare. All’Origo Global Forum ci sono tantissimi esempi in questo senso. Il Parmigiano Reggiano è in tutto il mondo, così come il Grana Padano. Così come tanti altri prodotti. Chiaro, sono esempi iperbolici, non possiamo certe competere con certe realtà, ma i numeri per raddoppiare la produzione ci sono. Brisighella ha un patrimonio di oliveti sterminato. Il Consorzio deve essere interprete in questo. Fare capire, a chi conferisce prima, e al consumatore finale poi, di cosa stiamo parlando. La consapevolezza che siamo sulla strada giusta ma non possiamo rallentare e crogiolarci sugli allori di premi e riconoscimenti.

Di conferme, sull’indiscutibile qualità dell’Olio di Brisighella, le abbiamo avute anche a Parma: in tutti gli showcooking si è utilizzato il nostro olio con complimenti e manifestazioni di stima da parte di tutti.

Credo che manifestazioni come quella di Cibus e Origo siano fondamentali nella comunicazione verso l’esterno dei prodotti che caratterizzano il Bel Paese ed è stato importante essere presenti. In merito a questo, nel viaggio di ritorno con Nicola si ragionava, e sono d’accordo con lui quando propone di lasciare a tutti la possibilità di partecipare alle degustazioni e alle conferenze di Origo, perché molti potenziali buyers erano a Cibus ma non avevano l’invito per l’Origo Global Forum e questo potrebbe essere molto limitante e controproducente.

Che dire ancora? Basta.

Lunga vita all’Olio di Brisighella. È di importanza decisiva che si prosegua sulla via del dialogo triangolato tra Agricoltura-Consorzio DOP-Cooperative produttrici, per tornare ad una produzione importante e riconquistare le antiche vestigia di grande prodotto Made in Italy e accompagnare, questo prezioso oro verde alle sfide future, in un mercato in costante cambiamento.

 

“Qualità significa fare le cose bene quando nessuno ti sta guardando.”

(Henry Ford)

«È il solito problema di sempre, se non parliamo siamo infelici,

e se parliamo non ci comprendiamo».

José Saramago

 

 

Iacopo

Comments are closed.