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Marchesi Antinori

Tignanello o Solaia?

Antinori Family

LA STORIA

Firenze, 1385. Giovanni di Piero Antinori entra a far parte dell’Arte Fiorentina dei Vinattieri. Ancora precedente, 1179, è la prima menzione in un documento ufficiale che registra un accordo fondiario. Nel 1202, la famiglia si trasferisce dalla campagna a Firenze, dedicandosi al commercio di lana e seta. Nel 1385, quando i fratelli Giovanni da Piero Antinori e Lodovico Antinori vollero espandere l’attività, la loro madre Albiera, suggerì il commercio del vino.

La 26° generazione, oggi al comando dell’azienda, può fregiarsi di un casato di ben 600 anni di storia e di poter raccontare, ad esempio, di, Orazio Antinori, loro antenato, avventuriero e cacciatore che esplorò l’alto corso del Nilo negli anni Cinquanta del XIX secolo, o di Bernardino Antinori, che fu strangolato nel 1576 su ordine di Francesco de Medici per essersi intrattenuto più del dovuto con una donna che il Granduca di Toscana corteggiava.

Un’importante menzione degli Antinori è dello scrittore Francesco Redi, il quale inviò una lettera ad un amico nel 1860, per comunicare che gli stava inviando quattro fiaschi “dell’illustre signor Vincenzo Antinori” e che dovevano essere buoni perché piacevano anche al prete.

 

Palazzo Antinori

 

Ancora oggi il quartier generale della famiglia è Palazzo Antinori, costruito tra il 1461 e il 1469, e si trova a pochi passi dalla maestosa Santa Maria del Fiore.

Appena dentro l’ingresso principale si trova la Cantinetta Antinori – enoteca e ristorante – che Niccolò Antinori aprì nel 1957. Dall’altra parte del cortile interno ci sono gli uffici amministrativi; al piano superiore ci sono gli appartamenti familiari. Sulla parete esterna destra, che si affaccia su di uno stretto vicolo, c’è una porticina, delle dimensioni di una bottiglia, con la scritta VINO. È una delle tante cosiddette “buchette del vino”, risalenti al XVI secolo: i clienti bussavano, passavano i soldi e il fiasco da riempire a un cantiniere e ricevevano il vino da portare via.

 

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E il XIX Secolo quello del cambio di passo, dal punto di vista vitivinicolo, della Famiglia Antinori quando il padre di Niccolò e due zii fondarono le Cantine dei Marchesi Lodovico e Piero Antinori, stabilendo le proprie cantine nel Chianti di San Casciano.

Niccolò Antinori fu sicuramente un personaggio di preminente importanza nella storia degli Antinori. Il legame con il vino divenne indissolubile e con lui, l’azienda, crebbe velocemente, soprattutto dal punto di vista delle vendite, dopo il ritorno dal primo conflitto mondiale. Lo zio Lodovico mantenne i vigneti durante la guerra, e Niccolò iniziò ad acquisire nuove proprietà, tra cui Santa Cristina e una grande tenuta in Umbria: il Castello della Sala.

La maggior parte del suo impegno era volto al commercio e alla promozione del “brand”: egli riteneva che Antinori non avrebbe potuto sopravvivere al XX secolo solo vendendo vini toscani ai toscani. Da giovane venditore, Niccolò viaggiò per tutta l’Europa. Durante i suoi viaggi, assaggiò tanti vini francesi e ne visitò le tenute e le cantine. Quando prese in mano l’azienda, Niccolò cooptò alcune idee dei viticoltori francesi che ammirava. Nel 1928 creò Villa Antinori, con l’immagine della Villa di famiglia sull’etichetta.

 

Piero Antinori

 

Il personaggio che ha completato la rivoluzione della Famiglia Antinori e l’uomo che più di tutti ha il merito di aver fatto conoscere i vini di Antinori, e dato lustro all’intera Toscana, è sicuramente Piero Antinori, ideatore – tra le altre cose – del Tignanello e del Solaia, tra i vini più influenti della storia d’Italia.

Questi “esperimenti” del Marchese, ispirarono altri a rompere con la tradizione del Chianti Classico, ponendo le basi per una nuova era del vino italiano. Tignanello e Solaia divennero tra i primi veri “Super Tuscans” del Chianti Classico e il Marchese divenne fonte di ispirazione per altri viticoltori italiani, nel bene e nel male.

Il Marchese ruppe anche un’altra tradizione dell’industria vinicola italiana: quella di passare il testimone dell’azienda agli eredi maschi. Delle sue tre figlie, Antinori pensava che nessuna sarebbe stata interessata a rilevare l’azienda di famiglia; questa ipotesi lo spinse addirittura a vendere l’azienda nel 1981 alla società Whitbread, con sede nel Regno Unito. Solo dieci anni dopo, si pentì di tale scelta e riacquistò l’azienda, con enorme fatica e ricorrendo a ingenti risorse monetarie, ma con il risultato di avere proseguito la tradizione famigliare che ancora oggi continua a portare il nome della famiglia.

Piero inoltre, ha ampliato in maniera esponenziale, la Marchesi Antinori. L’azienda già possedeva storicamente il Castello della Sala in Umbria, Santa Cristina nel Chianti Classico, la Tenuta Belvedere a est di Firenze e la proprietà della madre di Antinori a Bolgheri – Guado al Tasso. A partire dal 1985, Piero Antinori inizia ad acquisire tenute in tutta la Toscana: prima Pèppoli e Badia a Passignano nel Chianti Classico, poi La Braccesca a Montepulciano, Tenuta Monteloro a nord di Firenze, Pian delle Vigne a Montalcino e Fattoria delle Mortelle in Maremma. L’azienda si è mossa anche al di fuori della Toscana, acquistando Prunotto in Piemonte, fondando Tormaresca in Puglia, Montenisa in Franciacorta e Fattoria Aldobrandesca a Sovana. Fuori dall’Italia, negli Stati Uniti, ha fondato Antica Napa Valley ad Atlas Peak e ha collaborato con Chateau Ste. Michelle a Col Solare a Washington e ha da poco acquistato Stag’s Leap Wine Cellars in Napa Valley. Altre joint venture sono state realizzate a Malta, in Ungheria e in Cile con Haras de Pirque.

Piero è anche il promotore del nuovo quartiere generale della società Antinori: Antinori in Chianti Classico, avveniristica cantina, tra le più belle al mondo secondo unanime consenso, nella zona del Bargino, vicino a San Casciano.

 

Renzo Cotarella

 

Insieme a Piero, è doveroso ricordare anche il suo più stretto e fidato collaboratore. Nel 1977, il giovane Renzo Cotarella, stava frequentando la scuola di enologia in Umbria, la sua regione, quando alcuni professori lo raccomandarono per il lavoro part-time di enologo personale per il consorzio vinicolo locale. Antinori, in qualità di proprietario della Sala, era allora presidente del consorzio. Nel 1979, Piero Antinori portò Cotarella, allora ventiquattrenne, a ricoprire il ruolo di enologo presso la Sala.

A quel tempo, Antinori aveva attirato l’attenzione con Tignanello e Solaia. Decise che era giunto il momento di provare il modello Tignanello in un’altra azienda e che Cotarella era l’uomo giusto per aiutarlo.

Con Tachis prima e Cotarella poi, (nel 1992 Tachis andò in pensione), si realizzò il sogno di Piero Antinori: una collezione di singole tenute capaci di produrre vini d’élite. Nel 2005, Piero Antinori promosse Renzo Cotarella amministratore delegato. Ora, l’attuale AD, continua a lavorare insieme a Piero ed insieme alla ventiseiesima generazione della casata Antinori, rappresentata da 3 sorelle, le figlie di Piero: Alessia, Allegra e Albiera.

 

Tachis

 

Tignanello e Solaia

Mezzo secolo fa, quando Antinori stava creando il Tignanello, era naturale guardare alla Francia. L’Italia aveva bisogno di nuove idee. Negli anni ’70, l’Italia aveva bisogno di un vino che la facesse diventare una grande nazione vinicola. Con il Tignanello, Antinori ha realizzato esattamente questo.

Nel 1968, Antinori e Tachis chiesero al più importante enologo dell’epoca, Émile Peynaud di Bordeaux, di venire in Toscana a fare da consulente. I consigli di Peynaud erano molto chiari: ridurre le rese dei vigneti, smettere di includere le uve bianche nel Chianti e iniziare a invecchiare il vino in botti di rovere nuove e pulite. Tachis iniziò a mettere in pratica i suggerimenti del professore di Bordeaux.

Nello stesso periodo, Piero Antinori venne coinvolto dallo zio, in un altro interessante “progetto”: Mario Incisa della Rocchetta, nobile piemontese, era sposato con la sorella della madre di Antinori. Le due sorelle avevano ereditato dal padre un’enorme tenuta sulla costa toscana, vicino al piccolo borgo di Bolgheri. Mario amava molto i vini di Bordeaux e decise che il clima marittimo e i terreni ghiaiosi di Bolgheri erano adatti al Cabernet Sauvignon. Piantò alcuni ettari di vigne e nel 1944 iniziò a imbottigliare il vino per il proprio consumo. Lo chiamò Sassicaia, per i sassi e le pietre che caratterizzavano i vigneti. Nel 1968, Mario Incisa della Rochetta chiese ad Antinori di commercializzare il Sassicaia, il quale accettò e coinvolse nel progetto anche Tachis per rendere i vini di Tenuta San Guido “un po’ meno artigianali”.

Il risultato suscitò un sussulto collettivo nel mondo del vino. Una regione italiana aveva prodotto un vino in stile bordolese migliore di molti Bordeaux e all’apice della qualità. Antinori commercializzò il Sassicaia fino alla morte di Mario, avvenuta 15 anni dopo, quando il figlio di Mario, Niccolò, ne prese il controllo.

Intanto in Chianti Classico, nel 1970, Tachis e Piero assaggiarono i vini giovani di quell’annata di Villa Antinori e decisero che le innovazioni portate da Peynaud stavano iniziando a produrre i risultati desiderati. Decisero di creare una cuvée speciale dal vigneto Tignanello, il vigneto di Sangiovese più esteso di Santa Cristina. Produssero 9000 bottiglie, etichettandolo Chianti Classico, aggiungendo la minima percentuale consentita di uve bianche, e lo chiamarono Villa Antinori Vigna Tignanello. Nel 1971 cambiarono ancora eliminando le uve bianche dall’assemblaggio, inducendo la fermentazione malolattica e affinando i vini in barrique nuove di rovere francese. Facendo questo, ottennero il vino che andavano cercando da anni, ma allo stesso tempo andando incontro all’automatico declassamento del vino da Chianti Classico a Vino da Tavola, in quanto il regolamento della denominazione, emanato nel 1967, imponeva una percentuale obbligatoria di uve bianche.

Nel 1975, decisero di aggiungere il 15% di Cabernet Sauvignon e il 5% di Cabernet Franc. Il Cabernet era coltivato in un altro vigneto di Santa Cristina, chiamato Solaia, a pochi metri da Tignanello.

Cambiò tutto. Il Tignanello trovò la sua formula e ispirò tantissimi produttori. Nacquero i Supertuscan.

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Tra le vallate di San Casciano Val di Pesa e Greve in Chianti, si estende la Tenuta Tignanello: 320 ettari (130 dei quali vitati). Qui si trovano i due vigneti simbolo dell’azienda, conosciuti in tutto il mondo per aver dato il nome a due vini di fama mondiale: il Tignanello ed il Solaia. I due vigneti si estendono sulla medesima collina. Il terreno è ricco di marne marine derivanti dall’epoca Pliocenica, calcare e scisto. Sebbene Tignanello sia posizionato a sud-sud-ovest rispetto all’esposizione a sud-sud-est di Solaia, i due vigneti vantano essenzialmente lo stesso terroir. Il terreno sassoso è prevalentemente galestro e albarese e le viti si trovano su pendii ripidi tra i 350-400 metri sul livello del mare.

Tignanello e Solaia nascono in un momento difficile per il vino toscano, quando la reputazione del Chianti non era certo quella attuale. Fu così che Pietro Antinori e Giacomo Tachis lanciarono questi due supertuscans. Il Tignanello nasce nel 1971 per dare una risposta alla crisi di un momento storico difficile, mentre il Solaia nasce nel 1978 quasi per caso, con la vinificazione di una produzione eccedente di Carbernet Sauvignon. La prima annata fu prodotta il 3600 bottiglie e prende il nome dalla vigna Solaia, la più soleggiata, esposta sud-sud-est.

 

Tignanello e Solaia vigneti

 

Entrambi i vini hanno subito un’evoluzione. Dai primi anni, le loro miscele si sono modificate gradualmente. Il Tignanello nasceva come Chaianti Classico, Sangiovese insieme ad una minima e indispensabile percentuale di uve bianche. Oggi il blend prevede l’80-85% di Sangiovese, supportato da Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Il Solaia inizialmente prevedeva 80% di Cabernet Sauvignon e il 20% di Cabernet Franc. Oggi invece il blend prevede il 75% di Cabernet Sauvignon, completato da Sangiovese 20% e Cabernet Franc 5%.

Nel 1997, Antinori ha iniziato un reimpianto completo dei vigneti, che è durato fino al 2007 introducendo anche pietre albaresi polverizzate sotto i filari. Questo calcare bianco aumenta la radiazione solare e si è rivelato particolarmente efficace per il Sangiovese. Le uve maturano prima e in modo più uniforme, con una maturazione zuccherina e fenolica contemporanea.

Entrambi i vini sono ora fermentati in tini di legno troncoconici da 6000 litri con l’obiettivo di ottenere un’estrazione morbida e completa dei tannini dolci piuttosto che di quelli verdi, consentendo alle bucce dell’uva di rimanere a contatto con il succo più a lungo. Anche l’invecchiamento è cambiato. Per il Tignanello, Antinori sta abbandonando tutte le barrique e ha introdotto tonneaux più grandi. Circa il 50% del legno è nuovo, ma la provenienza comprende ora anche il rovere ungherese e quello francese. Essendo un legno più neutro, il rovere ungherese si adatta molto bene alle varietà che hanno un forte carattere varietale come il Sangiovese. Per quanto riguarda il Solaia, vengono usate solo barrique nuove di Taransaud e Seguin Moreau.

Il Solaia 1997 è stato il vino dell’anno 2000 di Wine Spectator, il primo vino italiano a ottenere questo riconoscimento. Fu una notizia epocale che cambiò la geografia mondiale del vino. Il Solaia viene prodotto solo in annate eccezionali: non è stato prodotto nei millesimi 1980, 1981, 1983, 1984 e 1992.

Tignanello e Solaia hanno rappresentato un nuovo rinascimento vitivinicolo per l’Italia e ancora oggi sono considerati tra i vini più importanti e rappresentativi in tutto il mondo.

Tignanello e Solaia

Iacopo

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